Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge nasce dall'esigenza di aggiornare e rendere più efficaci gli aiuti economici e la cooperazione tra l'Italia e i Paesi in via di sviluppo (PVS).
      Questo argomento assume particolare importanza ed interesse in tutte le forze politiche, ancor più oggi, alla luce della difficile situazione internazionale: attualmente più di un miliardo di persone vive in condizioni di povertà assoluta.
      I primi interventi legislativi in materia di cooperazione hanno avuto carattere episodico e parziale (legge 26 ottobre 1962, n. 1594, e legge 28 marzo 1968, n. 380): con essi si prevedeva l'invio di esperti e volontari in servizio civile, la fornitura di attrezzature tecnico-scientifiche, la concessione a società ed enti italiani di contributi a fondo perduto per l'elaborazione di studi e progetti. Il primo intervento di rilievo si è avuto in coincidenza del «secondo decennio per lo sviluppo» proclamato dalle Nazioni Unite (legge 15 dicembre 1971, n. 1222): in esso erano previsti interventi più mirati, ma non ancora inseriti in un progetto organico. Sulla stessa linea d'azione furono anche le due leggi successive (legge 9 febbraio 1979, n. 38, e legge 8 marzo 1985, n. 73, quest'ultima ispirata all'idea di affiancare la tematica dell'aiuto di emergenza con quella della

 

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cooperazione allo sviluppo, ma in una elaborazione ancora embrionale). L'innovazione più vasta nella definizione della cooperazione come «parte integrante della politica estera dell'Italia» si è avuta con la legge 26 febbraio 1987, n. 49: essa disegnava un complesso sistema di organi, procedure e strumenti caratterizzati da una forte autonomia e specialità rispetto alle norme generali, ma già nel 1992 ci si è resi conto che gli investimenti diretti, di portafoglio e prestiti provenivano più spesso dalle associazioni private che dagli aiuti pubblici allo sviluppo (APS) (Angelo Gramigliola, «Cooperazione allo sviluppo modello da cambiare?» Politica Internazionale, n. 3, maggio/giugno 1997).
      L'esigenza di un cambiamento radicale nasce dal fatto che l'Italia ha tradizionalmente destinato una quota molto elevata del suo APS alla cooperazione multilaterale (cioè al finanziamento di organismi, banche e fondi internazionali di sviluppo). Occorre, invece, che il nostro Paese si mostri forte e attivo anche in prima persona. Gli APS, inoltre, devono slegarsi dal semplice concetto di assistenza pubblica ai PVS, per abbracciarne uno più ampio che includa anche considerazioni economico-culturali, geografiche e demografiche ad hoc. Un tale progetto, poi, non può rimanere indifferente a quanto già svolto dalle organizzazioni non governative (ONG), dalle università e, in generale, dalle associazioni di volontariato.
      Non si può, infine, prescindere dal fatto che il quadro delle relazioni internazionali sia profondamente mutato, anche per effetto dei dolorosi avvenimenti mondiali e degli imponenti flussi migratori che dal sud del pianeta si riversano sui Paesi più industrializzati ed economicamente attraenti.
      Tutto ciò porta a concludere che sia necessaria, in primis, la previsione di un organico coordinamento degli interventi, sulla base, da una parte, di una forte programmazione politica e, dall'altra, di una più snella attuazione.
      Sotto il primo aspetto, questa proposta di legge, apportando notevoli cambiamenti rispetto alla legge 26 febbraio 1987, n. 49, affida al Parlamento la responsabilità di esprimere un parere vincolante sulla scelta delle priorità delle aree geografiche e dei singoli Paesi verso i quali promuovere interventi di cooperazione, nonché dei diversi settori nel cui ambito i progetti dovranno essere attuati. Inoltre, vengono date maggiori competenze al Ministero degli affari esteri, viene potenziato il peso dell'unità di valutazione, già presente all'interno della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (DGCS), e viene in parte modificato l'organico del Comitato direzionale.
      Relativamente al secondo aspetto, la presente proposta di legge tende a semplificare le procedure d'intervento attraverso l'eliminazione dell'unità tecnica centrale e delle unità tecniche nei Paesi in via di sviluppo, sostituite dalla figura degli addetti alla cooperazione e di un apposito ufficio per la cooperazione, istituito presso l'ambasciata italiana sul territorio del Paese destinatario. Come ogni soggetto che entri a far parte dei piani d'intervento, anche gli addetti alla cooperazione possono, in ogni momento, avvalersi dell'aiuto tecnico dei consulenti, appositamente iscritti in un albo.
      È chiaro che questa proposta di legge costituisce un ulteriore passo in avanti verso la piena ed effettiva efficacia della cooperazione, senza con questo voler assurgere a legge conclusiva, in un settore, quello della cooperazione, in perenne divenire, come sono in perenne divenire e mutare le esigenze dei Paesi in via di sviluppo.
      La presente proposta di legge è divisa in tre capi.
      Il capo I individua i princìpi generali ai quali si deve ispirare la cooperazione allo sviluppo.
      All'articolo 1 si dice che «la cooperazione allo sviluppo è parte inscindibile della politica estera dell'Italia», con ciò volendo sottolineare l'importanza che gli interventi vengano inseriti all'interno delle linee programmatiche previste dal Ministero degli affari esteri.
      L'articolo 2 specifica che la cooperazione allo sviluppo può consistere anche nell'esportazione del know-how imprenditoriale
 

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italiano in materia di rapporti tra le istituzioni pubbliche e il settore privato.
      Un aspetto del tutto nuovo è il criterio di condizionalità previsto dall'articolo 3: riteniamo importante che l'azione di cooperazione non sia a senso unico e che, perciò, il Paese beneficiario si impegni concretamente a rispettare i diritti umani e i princìpi democratici internazionalmente riconosciuti.
      Il Capo II comprende tutti gli aspetti relativi all'individuazione ed elaborazione delle attività di cooperazione.
      Come precedentemente accennato, con l'articolo 4 abbiamo ampliato le competenze del Ministero degli affari esteri, prevedendo che esso si occupi di proporre alle Commissioni competenti di Camera e Senato la scelta delle priorità delle aree geografiche e dei singoli Paesi, oltre che i differenti settori d'intervento; che individui i progetti da realizzare d'intesa con il Paese destinatario e in armonia con altri interventi eventualmente già in atto o in stato di elaborazione a livello internazionale. Il Ministero degli affari esteri si impegna anche a inviare annualmente una relazione consuntiva alle Commissioni parlamentari competenti. Lo stesso dicasi per il Ministero dell'economia e delle finanze, come statuito all'articolo 14, comma 5.
      L'articolo 5 prende in considerazione il campo degli interventi straordinari, considerando come situazioni di emergenza quelle che riguardano tre gravi casi: l'invio di missioni di soccorso nelle aree colpite da carestie e fame, l'avvio di interventi in campo igienico-sanitario nelle aree colpite da calamità e la costruzione di strutture di accoglienza e quanto altro necessario per i rifugiati.
      L'articolo 6 aggiunge alle competenze già previste della DGCS anche il compito di individuare gli addetti alla cooperazione da inviare presso le ambasciate sul territorio del Paese beneficiario, previa delibera del Comitato direzionale, di cui all'articolo 7. Con esso si stabilisce, inoltre, che il Comitato direzionale sia presieduto dal Ministro degli affari esteri o dal Sottosegretario da lui delegato, come era originariamente, ma aggiunge che di esso facciano parte anche il direttore generale del commercio internazionale e il competente vice Ministro dello sviluppo economico. È, infine, stato previsto, come compito aggiuntivo del Comitato direzionale, che quest'ultimo esprima pareri circa l'idoneità delle organizzazioni non governative che entrino a far parte di un progetto di cooperazione.
      Il capo III prende in considerazione i differenti aspetti inerenti le fasi di esecuzione dei progetti di cooperazione. In esso sono contenute le maggiori innovazioni alla legge 26 febbraio 1987, n. 49.
      L'articolo 8 istituisce la figura degli addetti alla cooperazione: essi sono funzionari del Ministero degli affari esteri o distaccati da altro Ministero e dipenderanno dalla DGCS. Il loro compito principale è quello di seguire passo per passo i programmi di intervento servendosi, ove necessario dell'ausilio dei consulenti tecnici. Secondariamente, viene loro concessa autonomia d'azione per interventi che abbiano una previsione di spesa non superiore a 100.000 euro e, comunque, per una cifra che non superi un decimo del valore totale del piano-Paese di competenza.
      I consulenti tecnici di cui si è finora parlato possono inoltrare al direttore generale la domanda di iscrizione all'albo di cui all'articolo 9, presentando idonee garanzie di professionalità. Qualora queste manchino o vengano a mancare nel corso del tempo, la DGCS ha diritto a non accettare la richiesta di iscrizione o di cancellare dall'albo chi abbia perso i requisiti di idoneità.
      L'articolo 10 prende in esame i casi di intervento a livello bilaterale: in esso si dà la possibilità alle imprese di essere esse stesse motori degli interventi di cooperazione, attraverso la proposizione di progetti preliminari adeguatamente giustificati, che vengano poi messi in concorso secondo le procedure d'appalto previste dalla legge. Ciò permette di incentivare l'iniziativa privata, senza però perdere di vista la necessità che gli interventi siano «inscindibili» dalla politica estera italiana, come si era sottolineato all'articolo 1, in ragione del fatto che,
 

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prima che il direttore generale proceda all'individuazione dell'ente appaltante, il Ministero degli affari esteri dovrà valutare la conformità del progetto preliminare alle linee programmatiche proprie e a livello internazionale.
      L'articolo 11 vuole incentivare, a parità di condizioni, le imprese che intendano creare o abbiano già creato rapporti di collaborazione con le imprese del Paese destinatario: ciò, infatti, consente che quest'ultimo tragga beneficio non solo dal progetto a sé stante, ma, a più ampio respiro, anche dalla spinta positiva dell'occupazione e del valore aggiunto locale.
      Le ragioni che sono alla base della presente proposta di legge costituiscono anche la ratio dell'articolo 12; vogliamo che la cooperazione alla sviluppo sia effettiva e perché ciò avvenga è necessario che ogni passo sia monitorato: ex ante, dal Comitato direzionale attraverso il controllo dell'idoneità dei mezzi e del personale destinati alla cooperazione; in itinere, da parte dell'ambasciatore di riferimento, attraverso l'invio al direttore generale, al termine di ogni intervento e comunque ogni anno, di una relazione sullo stato dei lavori e sull'operato degli addetti alla cooperazione; ex post, da parte dell'unità di valutazione, attraverso l'analisi dei risultati ottenuti in relazione ai costi sostenuti e al lavoro del personale impiegato. Anche in questi casi è sempre possibile chiedere l'ausilio dei consulenti tecnici.
      L'articolo 13 prevede l'apertura di un ufficio per la cooperazione, all'interno dell'ambasciata di riferimento, dove gli addetti alla cooperazione, nel caso il loro invio si renda necessario, possano svolgere i propri compiti. Al termine del progetto l'ufficio verrà chiuso.
      Gli articoli successivi seguono a grandi linee quelli della legge 26 febbraio 1987, n. 49, ad eccezione del fatto che è stata eliminata la figura dell'esperto e dei volontari del servizio civile: questi ultimi potranno essere scelti direttamente dal main contractor o entrare a far parte delle ONG nel ruolo di cooperanti (articolo 30); infine, oltre ai doveri contrattualmente previsti per chi viene inviato all'estero, il personale che entri a far parte di un progetto di cooperazione ha il dovere di supportare in ogni suo aspetto l'azione e il prestigio dell'Italia all'estero (articoli 18 e 32).
      È utile sottolineare altri due aspetti innovativi: la durata degli incarichi affidati ai dipendenti pubblici, ai docenti universitari e ai magistrati è direttamente dipendente dal tempo dell'intervento. Inoltre, ad essi potrà essere conferito un successivo nuovo incarico con le stesse caratteristiche solo per un programma d'intervento in un'area geografica diversa da quella in cui si è svolto il precedente (articolo 21).
      Il secondo aspetto innovativo riguarda le ONG (articolo 27): esse devono presentare un bilancio annuale che dimostri la buona e corretta tenuta della contabilità e che evidenzi un'autonoma capacità di finanziamento per un valore pari almeno al 30 per cento dell'investimento necessario per l'intervento; è loro concessa la possibilità di richiedere l'iscrizione in un apposito albo, istituito presso la DGCS, in presenza e costanza dei requisiti di idoneità; infine, il direttore generale promuove almeno una volta all'anno un'assemblea di tutte le ONG iscritte all'albo per discutere consuntivi e programmi della cooperazione italiana.
      In conclusione, appare chiaro che, con la presente proposta di legge, si riporta a tutti gli effetti la cooperazione allo sviluppo nell'ambito delle azioni di politica estera, che vedono l'impegno di tutto il «sistema Italia».
 

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